PICOTENER IL “NEBBIOLO DIMENTICATO”

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Buona giornata amici!
Zeno22 Enoteca e Prodotti del Territorio Albenga oggi vi propone Picotener il “Nebbiolo dimenticato”!
Il Nebbiolo è una delle più interessanti varietà autoctone piemontesi.

Enrico Serafino ha riscoperto una speciale sottovarietà di questa uva così complessa: il Picotener appunto, chiamato familiarmente il Nebbiolo dimenticato, perché oggi pressoché impossibile da trovare. Infatti questa antica sottovarietà è caratterizzata da bassa produzione e scarso vigore vegetativo e questo ne spiega la scarsa diffusione.

Enrico Serafino è il primo produttore a proporre il Picotener Langhe Nebbiolo doc ricco di polifenoli, dal colore intenso e dall’aroma tipicamente speziato, riconsegnandogli una nuova prestigiosa opportunità.

NEBBIOLO: UNA VARIETA’ AUTOCTONA

Tra le migliaia di differenti cultivar presenti al mondo, il Nebbiolo è una tra le più prestigiose ed è universalmente riconosciuta per la produzione di vini rossi di grande complessità.

La prima testimonianza storica relativa a questa uva è un documento del 1266 conservato nel Castello di Rivoli (in provincia di Torino). Per questo motivo, oltre che per la grande diffusione nella regione, gli studiosi considerano il Nebbiolo come una varietà autoctona Piemontese e parte integrante di ciò che chiamano Attitudine Piemontese.

Da sempre, il Nebbiolo viene qualificato con l’aggiunta del preciso biotipo (o sottovarietà). È infatti molto comune trovare testimonianze e descrizioni che parlano di Nebbiolo “Lampia”, “Michet”, “Rosé”, o “Bolla”.

L’IMPORTANZA DELLA SOTTOVARIETA’

Un articolo pubblicato nel Dicembre 2017 dalla Rivista Scientifica Nature riporta la mappatura completa del genoma del Nebbiolo e conferma alcuni importanti aspetti legati ai diversi Biotipi.

I risultati definiscono l’esistenza di molte differenze nei caratteri genetici delle singole sottovarietà a cui corrispondono vini molto diversi. Con questo viene sancita scientificamente l’importanza dei biotipi in questo vitigno, cosa già ampiamente conosciuta a livello empirico.

Il secondo risultato rilevante è l’inserimento del Picotener nel panel delle tre sottovarietà più rappresentative dello spettro dei Nebbioli da sottoporre ad analisi.

IL RARO “NEBBIOLO DIMENTICATO”

Il Picotener, in particolare, risulta essere molto diverso dalle altre sottovarietà di Nebbiolo e mostra alcune caratteristiche distintive quali:
– Resa produttiva inferiore;
– Vigore vegetativo più basso;
– Resistenza a climi severi più elevata;
– Produzione di vini dall’aroma molto ampio;
– Produzione di vini dal colore più intenso.

Da questi risultati si può intuire perché, nel tempo, questo biotipo di Nebbiolo sia diventato molto raro. Complesso da allevare, colmo di difficoltà e con rese ridotte i produttori si sono arresi. Anche le Autorità si sono dimenticate del Picotener prese come erano a regolare biotipi ben più diffusi quali Lampia e Michet.

Picotener si presenta alla vista con un colore rosso brillante con sfumature violacee. Al naso è intenso, elegante e complesso con note floreali di rosa e violetta. Fruttato con sentori di ciliegia e susina, aromi fini di spezie.
Al palato è fine, vellutato, fresco, da medio a strutturato, delicato con tannini intriganti e un lungo e persistente finale minerale.
TEMPERATURA DI SERVIZIO: 16 – 18 °C. LONGEVITÀ: 5 – 7 anni.
Si abbina alla pasta, zuppe, carni rosse, piatti stagionali e a formaggi di media e lunga stagionatura.

ENRICO SERAFINO VINI DEL PIEMONTE

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Da Zeno22 Enoteca e Prodotti del Territorio Albenga è arrivato Enrico Serafino, la cantina artigianale piemontese che dal 1878 produce vini artigianali e inaspettati, che trasportano le persone nell’autentica atmosfera di Langhe Roero e Monferrato nel cuore dell’area Patrimonio dell’Umanità UNESCO.

L’approccio sostenibile e la meticolosa esecuzione in ogni fase della produzione permettono di ottenere vini fedeli al territorio e all’Attitudine Piemontese.

Inoltre la cantina Enrico Serafino è impegnata in entrambi gli affascinanti mondi del Vino e dello Spumante Metodo Classico.

I MAGREDI VINI DEL FRIULI

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Dal 1968 la famiglia Tombacco coltiva la passione per la terra e la vite; sostenuta dal sapere della tradizione vitivinicola friulana, ma sempre tesa all’innovazione e alla tutela dell’ambiente, è divenuta protagonista della storia enologica del Friuli.

“Estesa macchia sassosa, levigata dal vento e dalle acque” i Magredi rappresentano uno degli ultimi esempi di paesaggio steppico: magro, arido, sassoso. Qui i vigneti della cantina I Magredi affondano le loro radici, donando vini che si distinguono per la loro freschezza ed eleganza.

La famiglia Tombacco dal 1968 coltiva con passione la terra e la vite.

L’azienda I Magredi venne acquistata nel 1968 da Otello Tombacco, imprenditore opitergino.
Inizialmente le coltivazioni erano varie: aree a seminativo si alternavano ad alberi di mele, pesche ed infine vigneti.
La frutta raccolta veniva venduta al chiosco mentre l’uva trasferita ad Oderzo per essere vinificata.

vendemmia

Nel 1985 dopo aver conseguito il diploma di perito agrario, Michelangelo inizia a lavorare nell’azienda di famiglia ed alla fine degli anni ’80, trasforma I Magredi in una azienda vitivinicola.

La cantina

La prima parte dell’attuale cantina fu costruita nel 1990 e sottoposta negli anni 2000,2003 e 2007 ad ampliamenti ed ammodernamenti di strutture e tecnologie.
Da gennaio 2018 è stato intrapreso un progetto per la costruzione di un nuovo stabile.

La cantina è dotata di impianti moderni e all’avanguardia: impianto di pressatura soffice con presse a polmone, abbondante disponibilità di frigorie per l’abbattimento delle temperature in fase di introduzione delle uve e di lavorazione dei mosti e dei vini, di fermentini tecnologicamente innovativi per la vinificazione delle uve rosse, di centrifughe e filtri per la pulizia dei mosti e vini.

I Magredi… amici dell’ambiente

Cantina I Magredi è impegnata nel rispetto dell’ambiente!

Dal 2009 è stato installato un impianto fotovoltaico in grado di produrre circa 120 mila kwh di energia all’anno che consente di coprire un terzo del fabbisogno energetico aziendale.
Si ricorre alla fitodepurazione per depurare le acque reflue della cantina e all’utilizzo di un atomizzatore per il recupero e il riutilizzo dell’acqua in eccesso nella produzione dei vini.
Anche per il futuro l’intenzione è quella di continuare a percorrere la strada della sostenibilità ambientale, avvalendosi di tutte le tecnologie a disposizione per potere utilizzare energia pulita.

Olivicoltori e vignaioli d’alta quota. L’eroismo dei popoli

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All’interno della manifestazione Olio Officina Festival 2020, tenutasi a Milano al Palazzo delle Stelline dal 6 all’8 febbraio, Flavio Lenardon, presidente di  Treedream, movimento culturale per la rinascita dell’olivicoltura d’alta quota italiana, e ideatore del bicchiere da degustazione per olio in terracotta, ha parlato di un nuovo progetto di Treedream, e dell’impegno degli olivicoltori per il mantenimento e la salvaguardia idrogeologica del territorio del nostro entroterra ligure.

In attesa del video della conferenza, pubblichiamo un articolo di Giuseppe Stagnitto, segretario di Treedream dal titolo ” L’Olio d’alta quota, l’olivicoltura eroica“, pubblicato su L’almanacco di Olioofficina.

La Liguria, si sa, è caratterizzata da un territorio problematico e, di conseguenza, meritano al riguardo grande attenzione le considerazioni espresse da un movimento culturale, Treedream, nato per promuovere e favorire la rinascita dell’olivicoltura d’alta quota, non solo ligure, ma italiana.

L’esperienza di Treedream – di cui sono segretario, e cofondatore insieme a Flavio Lenardon – dimostra che la rinascita dell’olivicoltura montana è possibile e realistica a patto di modificare l’attuale predominante forma mentis dell’operatore economico, dell’amministratore e del politico. Ecco, di conseguenza, alcune utili riflessioni.

Sintesi programmatica per la rinascita dell’olivicoltura d’alta quota

Il caso dell’olivicoltura d’alta quota non deve essere assimilato alle agricolture non remunerative, e quindi sostenute dallo Sato per l’utilità sociale che ne deriva: ad esempio, certi pascoli che assicurano il mantenimento di alcune aree montane.

Il caso dell’olivicoltura d’alta quota è singolare per un motivo paradossale: è oggettivo e scientifico che l’olio tratto da oliveti in via di abbandono, proprio perché in alta quota e quindi di difficile coltivazione, abbia un peculiare profilo chimico che lo rende degno di essere classificato quale categoria a sé stante.

E’ infatti ormai pacificamente acquisito che la presenza di componenti aromatiche e salutistiche – ciò che realmente distingue la qualità di un olio extravergine di oliva, perché ciò che rimane è la sola parte grassa, sia pure pregevolissima, ma non specifica – venga incrementata proprio a partire dalle situazioni di stress idrico o climatico, che caratterizzano le zone di maggior altitudine.

Ecco, pertanto, la novità della nostra comunicazione: noi diciamo che è sufficiente che sia colta la differenza qualitativa che distingue l’olivicoltura d’alta quota, la quale, a costo zero per la pubblica comunità, ristabilisce e mantiene in salute l’intero sistema idrogeologico.

Pertanto, i politici, per quanto riguarda l’olivicoltura d’alta quota, una volta compresa la semplicità attuativa del progetto, dovrebbero semplicemente rifarsi a uno dei massimi valori della nostra Carta fondamentale, ovverosia favorire l’autonoma iniziativa. L’art. 118 c.4 Cost. recita, infatti: Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale.

Operazioni di specifica salvaguardia fondate su certificazioni ufficiali potrebbero non risultare effettivamente vantaggiose, in quanto una certa classe di consumatori non le associa necessariamente ai prodotti degni di figurare nella fascia più alta del mercato.

Gli altri tentativi di salvaguardia territoriale – che non consentono di differenziare e valorizzare il peculiare profilo chimico e sensoriale dell’olio extravergine di oliva d’alta quota, in quanto omogeneizzano, mettendo di fatto sullo stesso piano, burocraticamente, gli oliveti di più facile coltivazione con quelli in cui è oggettivamente più difficile effettuare le normali pratiche agricole – potrebbero addirittura risultare dannosi, fino addirittura a condannare a morte l’olivicoltura montana.

I vari tentativi di salvaguardia del territorio non funzionano perché violano innanzitutto le politiche europee, le quali, al contrario, chiedono siano valorizzate proprio le “differenze produttive”. Inoltre, c’è da osservare che i tentativi di salvaguardia dei territori sono di fatto in palese contrasto con il contenuto dei Piani di Sviluppo Rurale che invece rimarcano la necessità del sostegno a iniziative tese a valorizzare le “specifiche differenze” di produzione locale.

Anche la forma mentis dell’operatore economico deve mutare: prima di pensare a “vendere” – agendo con nuova e consapevole “responsabilità politica” – dovrà pazientemente ricreare le premesse culturali, ricostruendo le comunità umane che hanno perduto il senso della propria identità e che potrebbero rinascere solo traendo risorse da un nuovo mercato fondato su una differenza specifica che non è mai stata praticamente comunicata.

Noi di Treedream mettiamo volentieri a disposizione la nostra esperienza, alleandoci con chi voglia procedere lungo la tortuosa, impervia, ma già avviata via che conduce alla rinascita dell’olivicoltura d’alta quota.

 

Bicchiere da degustazione olio: l’idea innovativa di Flavio Lenardon

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Primo premio “Oggettistica e manufatti – Le forme dell’olio settima edizione” per i bicchieri da degustazione olio ideati da Flavio Lenardon e realizzati da Terracotte Benegiamo.

L’idea di un bicchiere da degustazione bianco-rosso in terracotta smaltata

Nel corso degli ultimi due anni vengo attratto da vari articoli e vicende legate ad un oggetto che, pur di uso comune nel suo senso più ampio, è per molti un alleato, un “compagno di banco” prezioso nel momento dell’espressione valutativa degli oli da olive. Nei vari congressi e nelle aule dedicati, si parla di una novità nel campo delle degustazioni e – dopo l’entrata in campo da oltre due lustri del bicchiere blu – viene proposto un bicchiere rosso, che si propone come un miglioramento sostanziale dell’approccio al campione oleario oggetto della degustazione.

Come noto, il motivo fondamentale di questa ricerca cromatica per il vetro del bicchiere da degustazione è quello di impedire la percezione del colore dell’olio da parte dell’analista, in quanto il colore non dovrebbe essere fattore discriminante per la qualità dell’olio.

Le verifiche sperimentali avrebbero rilevato che il colore rosso del vetro è più efficace di quello blu per annullare completamente la percezione delle tonalità gialle degli oli.

Il problema che sorge è questo: il colore rosso ha oggettive forti influenze sul modo in cui noi percepiamo le cose e non sembrerebbe adatto a favorire una condizione di giudizio distaccata ed imparziale.

Nonostante queste perplessità sull’uso del vetro rosso per la degustazione (perplessità relative alla tutela della giusta valutazione degli oli posti in rassegna nei vari concorsi), i rappresentanti del Coi non hanno sollevato alcuna obiezione sulla nuova colorazione, poiché rispetterebbe pienamente i requisiti previsti. Alcuni dei rappresentanti dello stesso Coi hanno persino suggerito che il nuovo bicchiere rosso granato andrebbe utilizzato sempre durante le selezioni di premi e concorsi; il fatto è che questo calice da degustazione cancella completamente l’aspetto dell’olio d’oliva al punto da farlo sembrare acqua.

Quanto esposto mi ha sollecitato a cercare una soluzione che rispettasse sia la funzionalità del colore rosso sia le perplessità mosse da più parti riguardo allo stesso colore. Il rispetto delle tecniche di degustazione, per l’imparzialità della stessa, dovrebbe coniugare le innovazioni tecniche e scientifiche con la tradizionalità di un gesto valutativo condotto con la massima attenzione, meticolosità e distacco.

Ogni vera degustazione è un momento di estasi del palato, di piacevolezza, di massima concentrazione dei sensi, un atto tanto terreno quanto metafisico, un momento che vuole riportare a sé tutta la storia del prodotto degustato nella sua autentica espressione.

La soluzione a questo enigma mi è arrivata dopo che, in una visita in Puglia, ho preso coscienza, lavorandola ed immergendo letteralmente le mani in essa, della terra da vasaio, dell’argilla. E’ come se fossi ridiventato consapevole di quanta storia dell’olio è legata alla sua conservazione nelle anfore, nelle giare, nei contenitori di coccio (un compendio di questa meravigliosa storia del rapporto tra l’olio e la cultura è contenuta nel libro E’ l’olio, bellezza! di Giorgio Barbaria).

Ho allora pensato che ciò che poteva offrire un materiale come la terracotta era unico ed insostituibile; ho pensato al lavoro negli oliveti: esso si svolge sempre seguendo una stagionalità che non può, nonostante tutto, essere molto modificata, rimanenedo sempre nella sua naturalità, con la successione delle stagioni.

Così con un andare lento, a misura d’uomo, si dipana la giornata seguendo i moti del tempo e della maturazione delle olive.

La terracotta è alla stessa stregua un materiale lento, deve essere fabbricato seguendo regole precise; deve essere essiccato con calma e con attenzione. altrimenti può “crepare”; deve essere cotto alla giusta temperatura e per il giusto tempo.

Da queste riflessioni nasce inizialmente la prima bozza di un bicchiere in terracotta smaltata totalmente in colore rosso per verificarne l’oggettiva rispondenza in termini di degustazione: la verifica è positiva in quanto osservo che la percezione del colore dell’olio è completamente annullata, come nel bicchiere di vetro rosso.

Il vantaggio di utilizzare la terracotta è allora il seguente: la terracotta può essere colorata all’esterno con colore differente e psicologicamente più adatto ad una degustazione che non deve esserne influenzata. Un colore neutro come il bianco per l’esterno del bicchiere da degustazione potrebbe essere il più adatto.

La terracotta ha inoltre la speciale caratteristica di un’elevata tenuta termica: pertanto, dopo essere stato portato a temperatura ideale per la degustazione, un contenitore di terracotta ha la capacità intrinseca di mantentere la corretta temperatura per un tempo superiore ad altri materiali.

Quindi, al termine di questo percorso di ricerca ed esplorazione, ho concepito il bicchiere da degustazione in terracotta smaltata rosso all’interno e bianco all’esterno.

Lo propongo con convinzione in quanto mi sembra possieda caratteristiche tecniche, meccaniche, termiche, psicologiche, adatte ad una degustazione seria, rigorosa, tranquilla ed obiettiva.

Flavio Lenardon, fondatore di TreeDream

movimento culturale per la rinascita dell’olivicoltura d’alta quota italiana

 

Lo scienziato ungherese, naturalizzato statunitense, Albert Szent-Gyorgyi (Premio Nobel per la medicina nel 1937) diceva che “le scoperte consistono nel vedere ciò che tutti hanno visto e pensare ciò che nessuna ha pensato”. Flavio Lenardon espone con lucidità il dilemma che lo ha impegnato per molto tempo: -il colore rosso del vetro ha l’effetto positivo di annullare ogni cromatismo dell’olio; -lo stesso colore rosso ha effetti negativi per l’influenza sulla percezione dell’analista. Sembrava obbligatorio un compromesso: la ricerca di un colore del vetro che risultasse meno sgradevole ma che annullasse (almeno parzialmente) il colore dell’olio.

Invece Flavio Lenardon ha seguito la via maestra del processo inventivo: quella della risoluzione della contraddizione senza compromessi, adottando un punto di vista differente che rende obsoleto il problema per come lo si era posto. Il primo passo dell’inventore è infatti sempre quello di chiarire il problema: la domanda giusta ha in sé il seme della risposta.

In questo caso l’idea geniale è stata quella di “separare” i requisiti contraddittori, cioè “isolare” la proprietà desiderata dal consueto supporto fisico, così da riattribuirla ad altri supporti fisici. Ad esempio nelle prime biciclette, per sfruttare al massimo la pedalata, si facevano le ruote di grandezza differente: solo dopo un certo periodo si comprese che si potevano invece fare le ruote della stessa grandezza e usare invece corone dentate di diametro differente collegate ad una catena.

La contraddizione tra i requisiti contraddittori:

-la differenza tra le dimensioni delle ruote sfrutta meglio l’energia della pedalata

-la differenza tra le dimensioni delle ruote rende difficilel’uso del veicolo

era finalmente stata risolta senza compromessi: e infatti dalla fine dell’Ottocento quasi tutte le biciclette hanno le due ruote di uguale grandezza.

In questo nostro caso del bicchiere da degustazione, l’inerzia intellettuale ci portava a colorare in modi differenti un bicchiere trasparente, senza considerare che un bicchiere di terracotta opaco è invece dotato di due facce, interna ed esterna, ciascuna delle quali può servire a funzioni differenti.

Giuseppe Stagnitto

 

ALTEMASI TRENTO DOC MILLESIMATO E UNA TANTUM RIESLING RENANO

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Da Zeno22 Enoteca e Prodotti del Territorio Albenga è arrivato Altemasi Trento DOC Millesimato nella versione Brut e Rosé più una sorpresa veramente unica nel suo genere!

UNA TANTUM Riesling Renano Trentino DOC di Cavit che esce in commercio solo con l’annata 2014. Prodotto dalle uve del vigneto Oltrecastello, di meno di un ettaro, è affinato sur lies per tre anni poi è rimasto in bottiglia per quasi un altro anno prima di essere immesso in commercio.

È elegante e complesso all’olfatto con profumi di mela, pesca bianca, melone bianco e note agrumate. Al palato è molto fresco, dinamico, ma anche dotato di buona intensità gustativa e di una certa consistenza. Ottimo l’equilibrio e lungo il finale.

Un bianco completo che evolverà ancora per diversi anni. Si abbina bene alla cucina di mare, in particolare crudi, molluschi e crostacei. Da provare con i formaggi freschi di capra.

 

Cantina Angelo Gaja

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Cantina che non ha bisogno di presentazioni, quella di Angelo Gaja è una griffe che ormai da decenni rappresenta il meglio nel mondo dell’enologia.

Vini rossi e bianchi che dimostrano una classe sopraffina e una longevità unica.
Vini dallo stile unico ed inconfondibile.

 

Avignonesi Capannelle 50 & 50

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Supertuscan tra i più famosi e ricercati,
50 & 50 nasce nel 1988 dall’incontro straordinario tra il Sangiovese di Capannelle in Chianti e il Merlot di Avignonesi di Montepulciano.

È un vino unico nel suo genere, capace di riflettere il potenziale qualitativo di due territori molto diversi in una visionaria espressione di terroir toscano.

La leggenda in una bottiglia.