Olivicoltori e vignaioli d’alta quota. L’eroismo dei popoli

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All’interno della manifestazione Olio Officina Festival 2020, tenutasi a Milano al Palazzo delle Stelline dal 6 all’8 febbraio, Flavio Lenardon, presidente di  Treedream, movimento culturale per la rinascita dell’olivicoltura d’alta quota italiana, e ideatore del bicchiere da degustazione per olio in terracotta, ha parlato di un nuovo progetto di Treedream, e dell’impegno degli olivicoltori per il mantenimento e la salvaguardia idrogeologica del territorio del nostro entroterra ligure.

In attesa del video della conferenza, pubblichiamo un articolo di Giuseppe Stagnitto, segretario di Treedream dal titolo ” L’Olio d’alta quota, l’olivicoltura eroica“, pubblicato su L’almanacco di Olioofficina.

La Liguria, si sa, è caratterizzata da un territorio problematico e, di conseguenza, meritano al riguardo grande attenzione le considerazioni espresse da un movimento culturale, Treedream, nato per promuovere e favorire la rinascita dell’olivicoltura d’alta quota, non solo ligure, ma italiana.

L’esperienza di Treedream – di cui sono segretario, e cofondatore insieme a Flavio Lenardon – dimostra che la rinascita dell’olivicoltura montana è possibile e realistica a patto di modificare l’attuale predominante forma mentis dell’operatore economico, dell’amministratore e del politico. Ecco, di conseguenza, alcune utili riflessioni.

Sintesi programmatica per la rinascita dell’olivicoltura d’alta quota

Il caso dell’olivicoltura d’alta quota non deve essere assimilato alle agricolture non remunerative, e quindi sostenute dallo Sato per l’utilità sociale che ne deriva: ad esempio, certi pascoli che assicurano il mantenimento di alcune aree montane.

Il caso dell’olivicoltura d’alta quota è singolare per un motivo paradossale: è oggettivo e scientifico che l’olio tratto da oliveti in via di abbandono, proprio perché in alta quota e quindi di difficile coltivazione, abbia un peculiare profilo chimico che lo rende degno di essere classificato quale categoria a sé stante.

E’ infatti ormai pacificamente acquisito che la presenza di componenti aromatiche e salutistiche – ciò che realmente distingue la qualità di un olio extravergine di oliva, perché ciò che rimane è la sola parte grassa, sia pure pregevolissima, ma non specifica – venga incrementata proprio a partire dalle situazioni di stress idrico o climatico, che caratterizzano le zone di maggior altitudine.

Ecco, pertanto, la novità della nostra comunicazione: noi diciamo che è sufficiente che sia colta la differenza qualitativa che distingue l’olivicoltura d’alta quota, la quale, a costo zero per la pubblica comunità, ristabilisce e mantiene in salute l’intero sistema idrogeologico.

Pertanto, i politici, per quanto riguarda l’olivicoltura d’alta quota, una volta compresa la semplicità attuativa del progetto, dovrebbero semplicemente rifarsi a uno dei massimi valori della nostra Carta fondamentale, ovverosia favorire l’autonoma iniziativa. L’art. 118 c.4 Cost. recita, infatti: Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale.

Operazioni di specifica salvaguardia fondate su certificazioni ufficiali potrebbero non risultare effettivamente vantaggiose, in quanto una certa classe di consumatori non le associa necessariamente ai prodotti degni di figurare nella fascia più alta del mercato.

Gli altri tentativi di salvaguardia territoriale – che non consentono di differenziare e valorizzare il peculiare profilo chimico e sensoriale dell’olio extravergine di oliva d’alta quota, in quanto omogeneizzano, mettendo di fatto sullo stesso piano, burocraticamente, gli oliveti di più facile coltivazione con quelli in cui è oggettivamente più difficile effettuare le normali pratiche agricole – potrebbero addirittura risultare dannosi, fino addirittura a condannare a morte l’olivicoltura montana.

I vari tentativi di salvaguardia del territorio non funzionano perché violano innanzitutto le politiche europee, le quali, al contrario, chiedono siano valorizzate proprio le “differenze produttive”. Inoltre, c’è da osservare che i tentativi di salvaguardia dei territori sono di fatto in palese contrasto con il contenuto dei Piani di Sviluppo Rurale che invece rimarcano la necessità del sostegno a iniziative tese a valorizzare le “specifiche differenze” di produzione locale.

Anche la forma mentis dell’operatore economico deve mutare: prima di pensare a “vendere” – agendo con nuova e consapevole “responsabilità politica” – dovrà pazientemente ricreare le premesse culturali, ricostruendo le comunità umane che hanno perduto il senso della propria identità e che potrebbero rinascere solo traendo risorse da un nuovo mercato fondato su una differenza specifica che non è mai stata praticamente comunicata.

Noi di Treedream mettiamo volentieri a disposizione la nostra esperienza, alleandoci con chi voglia procedere lungo la tortuosa, impervia, ma già avviata via che conduce alla rinascita dell’olivicoltura d’alta quota.

 

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